

Mikhail Pletnev in Verbier – fake,fool or genius
This programme was played in Milan in November 2023 with this ravingly insightful review sent by an equally enthusiastic Roberto Prosseda
Recensione del concerto di Pletnev a Milano l’altro giorno, da parte di Francesco Maria Colombo (uno dei pochi (ex) critici che ci capisce davvero): “Pletnëv al Conservatorio, Serate Musicali. 24 Preludi di Scriabin e 24 Preludi di Chopin. Torno adesso. 1 – Partiamo dall’ovvio. Pletnëv ha una delle dotazioni manuali, brachiali e digitali più impressionanti che si diano. C’è un video, avrà avuto poco più di vent’anni, in cui suona in Russia la Rapsodia su tema di Paganini (dirige proprio Temirkanov, curiosamente) che è lo stato dell’arte della tecnica pianistica. Tutte le note nitidissime, l’articolazione cristallina, il controllo dei pesi e della dinamica senza compromessi, un appiombo ritmico, in quel pezzo stipato di tricks, da manuale. Ora Pletnëv ha 66 anni e sostanzialmente quella dotazione c’è ancora, nonostante qualche nota imprecisa e una certa cautela: ad es. nel Preludio in Si bemolle minore la velocità è rimarchevole, l’articolazione anche, ma per mantenere quell’articolazione e quella velocità viene un poco sacrificata la dinamica, e alla pagina viene a mancare il suo furore. Quanto al controllo dei pesi e della dinamica, siamo sempre a un livello che tutti gli altri pianisti possono invidiare, e questo permette a Pletnëv sostanzialmente due cose: una è il rilievo delle voci interne, l’altra è una incredibile varietà entro uno spettro dinamico volutamente ridotto, tant’è che in tutto il concerto gli autentici pianissimo e fortissimo saranno stati una dozzina: tutto il resto era uno scivolare di sfumature infinitesimali, preziosissime, sibaritiche. Ciò che è perfetto per la scrittura di Scriabin, fatta di screziature di seta; e ciò che in Chopin enfatizza la ricchezza (pazzesca, quando venga rivelata così) dell’armonia, proprio quel che è al centro dell’indagine chopiniana attraverso i 24 brani distribuiti nelle tonalità maggiori e minori. In molti Preludi, questa sera, si sentivano voci interne mai udite prima, grazie ai pedali e ai pedali di dito, alla pressione digitale differenziata, alle scelte di tempo mobilissime sempre pensate in funzione del percorso armonico. Meravigliosa fantasia quella di Pletnëv, e meravigliose le tecniche impiegate per tradurla in suono. 2 – Detto così, però, parrebbe che Pletnëv sia l’ultimo (c’è sempre l’ultimo di turno, lo fu Cortot, lo fu Horowitz, lo fu Cherkassky) dei romantici e invece mi pare che l’intenzione stilistica del pianista vada da tutt’altra parte. Le voci secondarie non erano delibate con la sensualità erotica di Horowitz, ma creavano quinte prospettiche, coni d’ombra, attese ingannate, rispondendo non alla seduzione dell’istante ma a un’analisi complessa, meticolosissima, studiata a tavolino: tutto si può dire di Pletnëv tranne che il suo suono nasca nell’istante (esempi di pianisti il cui suono nasce nell’istante: Samson François, György Cziffra). Il risultato era, mi pare, non la ricerca “romantica” della bellezza ma una dimensione poetica e atmosferica enormemente inquieta, fatta di balenii, di addensamenti misteriosi, di tonfi esausti. Dopo Scriabin e dopo metà dei Preludi di Chopin, così intrisi di stanchezza e di morte, mentre cercavo di capire verso quale strana malìa ci portasse l’interprete, ho cominciato a sentire uno stravagante senso di apprensione e di turbamento: quel che provava Erode nella Salome quando dice che sente un vento gelido e sottile svolazzare per i corridoi del palazzo. Quell’intirizzimento era paura; e a me, per quanto possa valere un’impressione emotiva soggettiva, quei Preludi decomposti e ricomposti, in bilico su miriadi di sfumature coloristiche tra il grigio perla e il grigio tortora, quel continuo sfarsi dell’armonia in percorsi non consueti, quell’assorbimento dei temi (che nei Preludi chopiniani non sono quasi mai stagliati nettamente) negli smottamenti della scrittura armonica, hanno di fatto mosso a paura. Se dovessi trovare un paragone letterario per queste miniature così eseguite, lo indicherei nelle pagine di Edgar Allan Poe; pittorico, lo indicherei nei neri Caprichos di Goya. 3 – Scriabin era per questo la causa finale di Chopin, e Chopin la causa efficiente di Scriabin. Sarebbe stata un’operazione intellettuale raffinatissima e niente più, se Pletnëv non l’avesse invece sciolta in poesia, estasi, irraggiungibile eleganza: ma, come scrisse Platen, “chi ha guardato negli occhi la bellezza, si è già consegnato alla morte”. Per fortuna che i due bis di Scriabin (i due più celebri Studi tra i suoi) ci hanno riportato un po’ sulla terra: non erano perfetti né possedevano l’ineluttabile drammaturgia che vi costruiva Horowitz. Insomma, per fortuna Pletnëv ha qualcosa di umano, altrimenti tra Poe, Goya e Platen c’è da spengere tutte le luci. “



Mr Rubinstein used to turn baubles into gems ….Mr Pletnev manages to turn gems into baubles .
Brahms and Dvorak alla De Pachman but Rachmaninov The Lark and Moszkovski Study in F minor played as encores had us on our feet to cheer performances that only Horowitz could have matched
Fake -Fool – or Genius – Mr Pletnev is all three …irritating,exasperating but rarely boring with occasional moments of sublime inspiration.
Tonight there was the same improvised freedom with Brahms op 79 with a grandiose addition of bass octaves before the sweeping upward scales that was quite unexpected and overwhelming .Contrasting with the whispered eloquence of the lyrical passages and ravishing sense of balance of the coda.There was the beguiling charm of Dvorak’s Menuet op 28 and the mystery of op 52 n.4.The Brahms of 117 n.1 was played in gasps and the B flat minor n. 2 at breakneck speed but with a monumentally epic final few bars and a final chord that shone like a radiant moonbeam.The Ballade in G minor was so bathed in pedal as to be almost unrecognisable as he tried to link it to the Dvorak moderato.An evening of a collection of cameos played with a beguiling kaleidoscope of colour but one could only see a shadow of the former Pletnev who conquered the Tchaikowsky competition in 1978 who like the present day Lugansky could astonish and conquer all before them.Pletnev now lives in a dream world of his own private musings that he shares with a world if they still want it ……..there is a modesty and humility to his performances that is unique ,frustrating and at times ravishingly beautiful but more for the private salons of Chopin’s time than the concert hall of today.


The same programme we had heard in Rome last December :
Mikhail Pletnev in Rome – the return of De Pachmann – Fake,fool or genius?



Una risposta a "The secret world of Pletnev in Eindhoven Private musings of ravishing beauty"